Quest’anno inauguro ufficialmente la
stagione invernale l’8 dicembre, proprio come ai vecchi tempi, quando il
Pollino a quella data era già abbondantemente innevato. Questa volta, invece,
la neve si trova solo alle quote più alte, ma in compenso sui versanti nord e
nord-est è di ottima qualità, tanto da invogliarmi a tentare una via di
ghiaccio misto; inoltre, gli avvicinamenti risultano rapidi e agevoli, rendendo
l’uscita ancora più allettante.
L’unica nota dolente è che, pur trattandosi
di un giorno festivo, non riesco a trovare alcun compagno e, di conseguenza,
opto per un itinerario non particolarmente tecnico. Parto di buon’ora per
raggiungere Colle Impiso in tempo utile per trovare parcheggio, trattandosi
della località di partenza d’élite per le ascensioni ai duemila del Pollino. La
giornata si rivela semplicemente perfetta, con cielo sereno per l’intera
durata, temperature rigide e una ventilazione sostenuta da nord sulle vette,
che sul “monte di Eolo”, come ho ribattezzato il Pollino, non è certo una
novità né una rarità.
Nei pressi del Blokchaus, lungo la rotabile
per Rotonda, tre caprioli guizzanti mi danno il benvenuto prima di scomparire
rapidamente nel bosco. Raggiunto Piano Ruggio, colpisce la tristezza di un
paesaggio completamente privo di neve, fatta eccezione, naturalmente per Serra
del Prete da quota 1800; ma si va avanti, anche perché almeno posso raggiungere
con certezza Colle dell’Impiso in auto, operazione che risulta sempre problematica
quando nevica, vista l’estrema riluttanza degli enti locali a spalare la neve
lungo questa strada.
Al parcheggio mi sorprende trovare una sola
auto considerando il giorno di festa; in ogni caso mi avvio con passo deciso e,
giunto ai Piani di Vaquarro, mi appare davanti la maestosa piramide del
Pollino, ampiamente innevata soprattutto sul versante nord, una visione che mi
motiva ancora di più a proseguire. Noto inoltre che è stato realizzato un
ponticello in legno per il guado del Frido, che in passato poteva risultare
piuttosto fastidioso a causa del fango e della quantità d’acqua presente.
Proseguendo, comincio a trovare neve intorno ai 1650 metri, già in buona parte
ghiacciata.
Dopo un’ora e un quarto raggiungo l’ingresso dei Piani e, come sempre, l’impatto visivo è spaziale: vengo abbagliato da un panorama esplosivo e da una natura così emozionante da mettere i brividi. La sorpresa maggiore è constatare che praticamente tutte le vie del versante nord-est sono ben innevate e in condizione, a dispetto delle informazioni fuorvianti ricevute nei giorni precedenti. Dopo una breve pausa mi avvio lungo il pendio boscoso alla mia destra, in direzione della Grande Frana. La neve è ben trasformata e compatta, già da ramponi, ma per il momento, viste le pendenze ancora contenute, scelgo di non calzarli, anche se siamo al limite. L’itinerario scelto sarebbe il Costone Nord, percorso già risalito diverse volte e caratterizzato da difficoltà moderate, ideale da affrontare in solitaria.
Tuttavia, a un affaccio dal bosco, il mio
sguardo cade su “Psicologica”, la bellissima e iconica via di misto aperta il
12 gennaio 2014 da Massimo Gallo, mio primo compagno di avventure, e ripetuta
da me e Pasquale Buono nell’aprile 2015. Si tratta di una linea logica ed
elegante che si insinua nella parete formata dall’avancorpo del costone destro
della Grande Frana del Monte Pollino, osservando dai Piani di Pollino,
sfruttandone una linea centrale che passa tra lisce placche inclinate per poi
sbucare in cresta a circa 2100 metri di quota.
A questo punto scatta in me qualcosa di
indefinibile che mi cattura, un richiamo sottile, forse quel pizzico di
orgoglio o quella parte più profonda e inquieta dell’istinto da alpinista che
spinge a misurarti con ciò che ti mette davvero alla prova. Da lontano la linea
sembra concedersi, quasi invitante, ma una volta dentro l’illusione si
dissolve: quelli che apparivano come canali ben definiti si rivelano invece una
successione di blocchi e placche lisce, ricoperte da uno strato di neve non
portante che non consente una presa sicura a piccozze e ramponi.
Parto con decisione superando il primo muretto a 70°, particolarmente ostico. Dopo una ventina di metri mi rendo conto che affrontare oggi questa via in solitaria rappresenta un azzardo notevole, a causa delle pessime condizioni della neve, della morfologia del terreno e della forte esposizione. In alcuni passaggi i ramponi sfregano sulle placche lisce sotto uno strato di neve non portante, mentre le picche devono cercare appigli minimi in piccole fessure. Tornare indietro ormai non è più possibile, così senza lasciarmi scoraggiare mi concentro nel trovare zone di accumulo dove poter contare su appoggi più affidabili, sia per i ramponi sia per le piccozze.
Per guadagnare terreni migliori provo a
spostarmi verso destra effettuando un delicato traverso, muovendomi con estrema
cautela per alcuni metri su pendii inclinati attorno ai 55°.Ma dopo una
valutazione, mi rendo conto che la soluzione migliore è comunque proseguire
direttamente verso l’alto seguendo la linea originale della via che porta al
pino loricato sospeso in alto sopra di me, anche se questo comporta affrontare
pendenze continue più sostenute, tra i 60° e i 65°. Prima di raggiungere il
loricato che significa guadagnare la crestina nevosa finale, decisamente più
tranquilla, rimane soltanto un ultimo muretto di misto di 6–7 metri a 65°, con
un breve salto conclusivo a 70° subito dopo. Mi fermo un istante per riprendere
fiato, individuo con attenzione i migliori appigli per picche e ramponi, quindi
lo aggredisco e, con un passo atletico deciso, lo supero. La concentrazione
adesso non deve calare, perché restano da affrontare gli ultimi metri con
pendenza attorno ai 50°. Solo dopo aver lasciato alle spalle il pino, a una
trentina di metri, posso finalmente considerarmi fuori dalle difficoltà. Con
l’adrenalina a mille, che mi ha prosciugato le energie, profondo un ultimo
sforzo percorrendo i cento metri conclusivi di cresta facile che mi conducono
direttamente in vetta.
Immerso nell’atmosfera sospesa e quasi
irreale di un Pollino oggi completamente deserto, tocco ancora una volta il
pilastrino di vetta con la consapevolezza, mista a un pizzico di follia, di
aver portato a termine una prova intensa e profondamente appagante. Dalla cima,
sferzata da un vento freddo settentrionale che mi schiaffeggia il volto, la
discesa prima nella conca del “Nevaio” e poi lungo il più rilassante “Canale
Nascosto”, ricolmo di neve e incastonato in un magnifico giardino di vetusti
pini loricati, si trasforma in un momento di pura contemplazione, un ritorno
alla calma e alla pace dei sensi.
Salita dedicata all’apritore e mio primo
grande compagno di avventure, Massimo.
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